Il 10 dicembre 1948, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite proclamava la “Dichiarazione
universale dei diritti umani.” Per la prima volta nella storia dell'umanità, era stato prodotto un
documento che riguardava tutte le persone del mondo, senza distinzioni.
Si trattava di un progetto ambizioso, quello di attribuire, ad ogni essere umano, una serie di diritti
fondamentali inalienabili, ad ognuno riconosciuti per il semplice fatto di “esistere”.
Tra i diritti fondamentali dell'essere umano si possono ricordare: il diritto alla libertà individuale, il
diritto alla vita, il diritto all'autodeterminazione, il diritto a un giusto processo, il diritto ad un'esistenza
dignitosa, il diritto alla libertà religiosa con il conseguente diritto a cambiare la propria religione, oltre
che, di recente oggetto di normativa, il diritto alla protezione dei propri dati personali (privacy) e il
diritto di voto.
Ancora oggi purtroppo, a quasi settanta anni dalla stesura, tale documento risulta però inapplicato.
Tutti i giorni siamo bombardati da immagini e notizie di violazioni dei diritti fondamentali in ogni
parte del mondo. Il Rapporto mondiale del 2009 di Amnesty International, e la nostra stessa
esperienza quotidiana, indicano che gli individui vengono torturati o maltrattati in almeno 81 paesi;
vittime di processi iniqui in almeno 54 paesi e limitati nella loro libertà di espressione in almeno 77
paesi.
Donne e bambini, in particolare, vengono emarginati in numerosi modi; la stampa inoltre non è libera
in molte nazioni e chi dissente viene messo a tacere, troppo spesso in modo permanente. Anche se ci
sono stati miglioramenti in questi settant’anni, le violazioni dei diritti umani sono ancora oggi una
piaga mondiale.
Purtroppo noi italiani non siamo immuni dalle critiche mosse da Amnesty International riguardo al
rispetto dei diritti dell'uomo in quanto la mancanza di una legge sul diritto di asilo, il caso Abu Omar,
la detenzione nei Centri di permanenza temporanea, il trattamento dei minori, gli abusi da parte della
Polizia di Stato, tutto raccolto in un rapporto, quello stilato per il 2007, che raccoglie la situazione
globale delle violazioni dei diritti umani, fa sì che anche l'Italia rientri nell'elenco dei paesi
trasgressori.
Altrettanto problematica è la divulgazione stessa delle notizie sulle violazioni ai diritti umani
compiute in quei paesi ove vigono dei regimi totalitari.
Emblematica della difficoltà di far sì che tali diritti vengano riconosciuti ancora oggi per qualsiasi
essere umano è la storia di Andrej Nicolaevich Mironov fondatore dell'associazione per i diritti umani
“Memorial".
“Memorial” si occupa di tutte le persone che, nella zona dell'ex Urss, vengono private dei loro diritti,
specialmente per motivi politici, e cerca di rendere pubbliche le loro sofferenze tramite libri, articoli,
mostre e comunicazione via web.
Andrej Nicolaevich Mironov, nato il 31 marzo 1954 a Irkutsk in Russia, fu strenuo oppositore politico
nel suo paese; nel 1985 Andrey fu arrestato dalla polizia segreta Kgb con l'accusa di aver rivelato una
notevole diminuzione dell'estrazione di petrolio, da cui l'economia sovietica dipendeva totalmente, di
aver distribuito clandestinamente "I racconti della Kolchoz" di Villamar Salamoi, di aver criticato il
governo, in particolare riguardo all'invasione dell'Afghanistan e della Cecoslovacchia, e la mancanza
di democrazia nell'Urss.
Il suo processo si concluse con una condanna a quattro anni di detenzione e tre di esilio interno per
propaganda sovversiva antisovietica; durante il processo venne simulata un'impiccagione, che gli fece
perdere i sensi. Inviato in un campo di lavoro destinato ad autori di reati contro lo Stato considerati
particolarmente pericolosi, Mironov venne rinchiuso in cella di punizione per sei volte. Fu liberato nel
1986 quando, a seguito dell'incontro tra il presidente statunitense Reagan e quello sovietico
Gorbaciov, si decise la scarcerazione di 140 detenuti.
Nel 1991 iniziò a lavorare per numerose testate giornalistiche come ricercatore specializzato in diritti
umani e dal '92 operò in varie zone di conflitto, tra cui Nagorno Karabakh, Tagikistan, Cecenia e
Afghanistan. Durante la guerra in Cecenia, organizzò incontri tra rappresentanti ceceni e deputati russi
per cercare di risolvere pacificamente il conflitto. Le sue iniziative erano in contrasto con i piani
governativi di reprimere con la forza l'insurrezione.
Continuamente pedinato dai servizi segreti e minacciato per le sue attività di denuncia delle violazioni
dei diritti umani in Russia, Andrej rimase infine ucciso a Sloviansk, in Ucraina il 24 maggio 2014
insieme al fotoreporter italiano Andrea Rocchelli, mentre documentavano gli scontri armati pre-
elettorali nell'Ucraina orientale; si presume che furono colpiti da una granata sparata da un mortaio.
Secondo me Andrej si è battuto coraggiosamente per ciò in cui credeva, cioè il rispetto dei diritti che
nel suo paese non venivano rispettati; tuttora, dopo la sua morte, viene ricordato da Amnesty
International per la sua partecipazione attiva a queste battaglie.
L'escalation di violenza e di guerre, a cui stiamo assistendo, nei paesi del medio oriente, la tragedia
dei profughi che tanta violenza sta producendo, gli atti terroristici degli ultimi giorni, nei paesi
occidentali e non solo, stanno facendo emergere nelle nostre coscienze, nella mia coscienza,
sentimenti contrastanti a cui non dobbiamo cedere.
L'insegnamento dei tanti eroi come Andrej Nicolaevich Mironov, e di tanti altri come lui, è proprio
questo: se vogliamo un mondo migliore dobbiamo assimilare i principi della Dichiarazione universale
dei diritti umani per farli propri in maniera convinta per essere capaci di applicarli sempre, nel nostro
vivere quotidiano e vedere l'altro, chiunque altro, come un nostro simile con pari dignità e diritti.
Matteo Gallicola III F
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