martedì 7 febbraio 2017

La banca

Aprii gli occhi. La prima cosa che vidi quel giorno fu il soffitto della mia stanza: bianco con la vernice un po' sgretolata. Sentivo gli occhi pesanti, non riuscivo ad aprire completamente le palpebre, tutto intorno a me era impreciso, indistinguibile.
La luce che entrava dalla finestra era troppo forte per essere le sette del mattino di un giorno di novembre. Moltissimi pensieri si mescolarono nella mia mente: cosa era successo alla luce? Perché mi girava la testa come se avessi ripetutamente sbattuto il capo su un materiale come l’acciaio o il marmo? Perché ho la gola così secca, dolorante come se stesse per esplodere? Mi voltai, cominciò a girarmi la testa come se fossi su una giostra, appena misi a fuoco la mia sveglia, mi accorsi che era tardi, tardissimo. Il sonno e le incertezze si tramutarono in forza, energia che utilizzai per alzarmi dal letto come un fulmine, lavarmi e prepararmi. Guardai l’orologio: il mio stupendo apparecchio d’oro e cuoio, regalatomi il giorno del battesimo, mi diede una piccola speranza, potevo ancora giustificare il ritardo. Toccai le tasche della mia giacca e, all’improvviso, tutto mi fu chiaro: i pezzi del puzzle erano al loro posto, ogni cosa si incastrava perfettamente all’altra, capii cosa era accaduto. La sera prima ero uscito con degli amici, avevo sperperato tutto il denaro preso in banca, ero al verde. Non mi persi d’animo, ero testardo, sicuro di me, dovevo trovare una soluzione. Uscii di casa, tutto sembrava normale, al suo posto, solo una cosa mi saltò all’occhio: il bancomat nei pressi della mia casa era fuori servizio. Tuttavia non diedi molto peso a quel cartello giallo davanti alla banca e proseguii alla ricerca di un posto dove ritirare dei soldi.
Mi trovai dinanzi ad una fermata dell’autobus e il mio pensiero non era più unico, si divise in due binari: andare in autobus o a piedi? Non riuscivo a riunire le mie intenzioni e rimasi dieci minuti a fissare l’orario della corriera. Era la prima volta che ero indeciso. Infine scelsi la comodità; in fondo cosa cambiava, non poteva succedere nulla. Appena salii, cercai il posto che più mi garbava, mi sedetti, presi il mio cellulare e ogni due minuti lo accendevo nella speranza di notifiche dall’ufficio. Per un attimo la stanchezza prese il sopravvento, in effetti era solo da mezz’ora che non toccavo il mio morbido letto, ma non ero riuscito a riprendermi. Ero ancora intontito, non avevo la sicurezza di sempre e, appena riflettevo su ciò, un brivido percorreva la mia spina dorsale vertebra per vertebra, fino a dissolversi. Un edificio mi distolse dal disagio che provavo in quel momento, lessi con attenzione l’incisione all’ingresso: era una banca. Prenotai la fermata, scesi di corsa e rincuorato mi precipitai dal lato opposto della strada; inserii con enfasi la mia carta nella fessura del bancomat rovinata, graffiata dalla disattenzione della gente. Sorprendentemente fu proprio la sbadataggine a farmi perdere ogni speranza. Mi sentii improvvisamente come travolto da un camion di sfortuna, ogni positività evaporò con la mia tessera incastrata nell’apertura. Ero smarrito, non avevo più idee, l’unica cosa che potevo fare era entrare nella banca e sperare in un rapido aiuto. Ovviamente ciò non accadde: infatti, varcata la soglia trovai dinanzi a me fiumi di gente in coda per aspettare un insulso pezzo di carta firmato, una misera pensione o un assegno. Mi resi conto che quella mattina la avrei passata nell’edificio. Squillò il telefono, risposi e non appena sentii un rauco “buongiorno” dall’altro capo dell’apparecchio, udii uno sparo. Il mio cuore probabilmente smise di battere per qualche decimo di secondo, tuttavia di una cosa sono sicuro, si mosse, sobbalzo dalla paura come feci anch’io. Tutto si fermò, la frase “tutti a terra” mi bloccò, non riuscivo più a ragionare, ero spaventato, rabbrividivo al solo pensiero che mi potesse accadere qualcosa, ero disposto anche a fare del male pur di non abbandonare tutto ciò che avevo. Pregai come non avevo mai fatto prima di allora. La cosa che più mi segnò fu l’uomo accanto a me, ferito, con il sangue che gli scorreva dalla spalla, rosso scuro, liquido, scendeva lento come se volesse assaporare quel momento. Mi sentii come se avessi preso della camomilla, stranamente tranquillo, provavo talmente tanto dolore da non sentire più nulla. Girai la testa verso l’aggressore, lo fissai negli occhi, percepivo la sua rabbia, ma allo stesso tempo tanta insicurezza, una lacrima scese lungo tutto il mio viso, quasi doleva doverla lasciar andare, farla cadere a terra e dissolversi nel nulla. Mi sentivo come lui, solo ora lo avevo capito.
Ora i miei pensieri tornano continuamente a quel martedì, so che la quotidianità è fatta anche di paranoie, paure, ansie, che, alcuni giorni, rischiano di portarmi via, di distruggermi.
S.Ciardiello, IC

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