domenica 26 febbraio 2017

L'essenza della memoria

Soprattutto a noi giovani le terribili sofferenze e i trattamenti inumani che un intero popolo è stato costretto a sopportare prima e durante la seconda guerra mondiale sembrano un avvenimento lontano, di un altro mondo, una brutta storia che ci viene raccontata nella vana speranza che noi ci riflettiamo su e decidiamo di non commettere gli stessi errori; i racconti di terribili violenze e morti atroci, di famiglie brutalmente separate e donne, uomini e bambini trasportati in treni merci per giorni, senza acqua, cibo, servizi igienici, ci scivolano addosso, mescolandosi alle immagini delle serie tv che guardiamo. Non ci rendiamo conto, però, che le storie della shoah sono reali, che non sono antiche leggende del tempo dei sumeri o un film horror creato per intrattenere. Non ce ne rendiamo conto almeno fino a quando non visitiamo Auschwitz e non capiamo che non si tratta del set di un film fino a quando non sentiamo parlare qualcuno che questa tragedia l’ ha vissuta, e notiamo nel suo sguardo il terrore indescrivibile che anche il solo ricordo di ciò che è successo provoca in questa persona, in quest’ essere umano. Nessun essere umano dovrebbe avere quello sguardo, nessuno dovrebbe vivere sognando ogni notte gli orrori che ha vissuto, nessuno dovrebbe sentire quel brivido che corre lungo la schiena ogni qual volta un suono, un’immagine riportano alla mente la sensazione di angoscia provata in passato. 

Forse è questo ciò a cui serve la giornata della memoria: anno per anno una nuova generazione di ragazzi viene bombardata con immagini e racconti dello scientifico sterminio attuato ai danni dell’ intero popolo ebraico; a cominciare da quando sei piccolo questa storia ti viene raccontata ogni anno, ogni volta in un modo lievemente diverso, da una persona diversa che cerca di trasmetterti un dolore che tu non capisci, perché non l’hai mai provato. Magari a otto, dieci anni senti tutto ciò come qualcosa di molto lontano, ma la storia ti tocca, forse piangi, forse ci ripensi per qualche giorno, poi te ne dimentichi. Poi, quando sei alle scuole medie, decidi di dover fare il duro: quello che senti non ti tocca più, la tua vita va avanti come se nulla fosse, anzi, probabilmente, mentre a scuola ti mostrano il film “il bambino con il pigiama a righe”, tu stai in fondo alla classe a giocare con il cellulare. Quando hai quattordici o quindici anni, sai perfettamente che si parla di cose serie, ti sforzi di ascoltare, di farti un’opinione, di provare empatia per quelle persone uccise nelle camere a gas solamente perché ebree. Poi arriva il giorno in cui i tuoi genitori ti portano ad Auschwitz, o leggi il diario di Anna Frank – ma non perché ti hanno costretto a scuola: perché vuoi leggerlo tu- , il giorno in cui sei ad Amsterdam con gli amici e visiti la casa di Anna Frank, entri nella sua stanza, dove lei scriveva, vedi i suoi poster alle pareti, le finestre oscurate, sali le scale che lei, la sua famiglia e le altre persone che vivevano con loro percorrevano in punta di piedi, senza fare il minimo rumore. Questi sono i momenti in cui finalmente – o per sfortuna – capisci il dolore, la sofferenza, la paura, l’angoscia. E poi questi sono i momenti in cui ti rendi conto che lo stesso dolore che hai visto nello sguardo di quel vecchietto che ti raccontava di come lui e la sua famiglia fossero stati deportati, costretti ai lavori forzati e trattati peggio delle bestie, lo vedi ogni giorno, al telegiornale, nei volti dei bambini che arrivano nel nostro paese dopo una traversata di mesi a bordo di barconi malridotti e sovraffollati. Lo vedi ogni giorno, negli occhi di quei migranti che, dopo un viaggio del genere, si vedono rifiutato l’asilo politico e sono costretti a tornare da dove sono scappati, ma anche negli occhi di coloro che ci sono riusciti: hanno ottenuto il permesso di soggiorno, eppure, ogni giorno, sono vittime di discriminazioni e pregiudizi. Ed è proprio per questo, quando ti rendi conto che le tragedie succedono ancora oggi, è per questo che non dimenticare è importante. Seguendo il filo di questo pensiero, poi, ti rendi conto che la stessa mentalità di quella maggioranza del popolo tedesco che sì è lasciato convincere a considerare gli ebrei come la causa di tutti i mali, è quella che sta portando anche noi, oggi, a vedere nei migranti il perfetto capro espiatorio su cui scaricare la responsabilità della nostra crisi economica e della criminalità diffusa. Quando si parla del “sonno della ragione che genera mostri”, a mio parere si parla anche di noi, qui ed oggi, che non ci rendiamo conto che anche chi arriva nel nostro paese come profugo è un essere umano e merita non solo diritti ma anche rispetto ed empatia.
                                       
                                                                                                                                                Giorgia Bulli IVC

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