mercoledì 1 febbraio 2017

30/1/2017 Conferenza ed incontro con Tareke Bhrane: storie migranti e la nostra percezione sociale del fenomeno

Una conferenza, quella di oggi, che aspettavo fiducioso, sentivo che sarebbe stato uno di quegli incontri che ti plasmano facendoti riflettere, crescere e comprendere un tassello in più del mondo che ti circonda, in parte è stato così.
Il primo contatto con una realtà da noi parzialmente conosciuta è avvenuto con la proiezione di un filmato in cui i fortunati superstiti di precarie traversate del “bel mare nostro” si raccontano come viaggiatori stremati parlando del proseguimento del viaggio dopo l'approdo sulle coste italiane.
Uomini e donne disperati che, dopo aver abbandonato ogni cosa, fanno rotta verso paesi più avanzati dove vedranno riconosciuta e protetta la loro dignità ed essenza di esseri umani. Vanno a nord dove il buio e la neve riempiono le giornate ma dove democrazia e giustizia sono impregnate di rispetto per i diritti dell'uomo.
Questo spaccato di realtà ci ha colpiti, forse ci ha fatto pensare, ma di sicuro non soddisfa la nostra mente scettica.
Prende ora la parola Tareke, è un giovane uomo snello ma duro, parla delle tragedie e del loro ricordo, parla di un lungo viaggio in cui le atmosfere romantiche e intriganti sono sostituite da violenza botte torture e stupri, è cosciente che partire non è stata una scelta ma l'unica possibilità di vita e prova a farlo comprendere anche a noi. Non è facile, siamo così lontani dal dover fuggire per vivere che non capiamo, si sta parlando di come accogliere chi scappa e di come fargli sentire che ha finalmente raggiunto la sua meta ma la mia testa è bloccata al passaggio precedente. Molti governi europei non hanno preso una posizione chiara sui flussi migratori e lo stesso non hanno fatto i cittadini; l'ospitalità, valore storicamente sacro, non è più tra le nostre priorità ed in questo momento più che mai è evidente. Non siamo del tutto persuasi di dover accogliere né tantomeno che loro debbano venire a chiedere accoglienza, ciò che abbiamo visto e sentito fino ad ora non è bastato per convincerci che questa sia la realtà.
 Si percepisce una distanza tra il relatore e la platea, la separazione mentale che sulle mappe è il tratto di mare tra le coste libiche e l'isola di Lampedusa.
Questa lontananza non verrà vinta oggi.
Si passa ora all'aspetto teologico (se ne esiste uno) dell'accoglienza, il dovere morale civile e sociale universale dell'aiutare chi è in situazioni drammatiche sembra quasi lasciare posto ad una carità cristiana da pochi condivisa che fa calare il livello di attenzione di un pubblico scocciato dallo sforzo alla riflessione suscitato dagli interventi precedenti.
Distrattamente passiamo oltre.
“Ogni società sceglie i suoi morti” è questa l'apertura dell'ultima parte prevalentemente socio-politica in cui si analizzano le tragedie avvenute e la mancanza di competenza nel trattare i flussi migratori (ormai fenomeno costante e non più temporanea emergenza) accreditandole ad una scelta politica chiara ma affatto trasparente. Un approccio così profondo meriterebbe uno spazio ad esso dedicato, la campanella è suonata ormai da un pezzo e l'attenzione della platea è al minimo. Si ringrazia e si conclude, lasciamo l'aula magna e salendo le scale la quotidiana vita studentesca si riappropria delle nostre menti, mi chiedo se qualcuno di noi farà lo sforzo di pensare a ciò che abbiamo sentito oggi.
Autore anomino

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