martedì 26 aprile 2016

Racconti - Senza Titolo

La vita gli scivolava via come acqua su un vetro, ma la cosa aveva smesso di impressionarlo più di tanto, si guardava allo specchio impotente, la pesante sedia a rotelle piano piano aveva preso il posto delle gambe e il suo viso pareva via via più incavato, ma neanche questo oramai lo preoccupava.
Aveva smesso di porsi quelle sgradevoli domande sui perché universali, aveva smesso di credere che ci fosse uno scopo alla sua esistenza, così effimera ed insignificante, ed aveva lasciato che le cose gli scorressero addosso come pioggia su un papero; se non voleva soffrire non doveva più aspettarsi niente, smettere di preoccuparsi e lasciare che tutto passasse, la regola di base era semplice e lui era riuscito in principio ad applicarla a pieni voti.
Imperturbabile, avrebbero scritto sui giornali, imperturbabile finché qualcosa non s’era rotto, il ferro stretto in bocca, freddo e tuttavia così rassicurante, la vita in uno scorrere davanti ai suoi occhi come un crudele girotondo, quante cose non fatte, quante parole non dette e morte in gola o magari uscite all’ultimo momento in un rantolo.
S’era forse arreso all’evidenza di non servire a nessuno, nemmeno a se stesso, la condizione di essere un peso per tutti soprattutto per lui, la compassione non gli era mai piaciuta la chiamava pena in carta regalo, così gratis e subdola.
Le mani tremavano forse cercando di aggrapparsi a quell’ultimo sprazzo di vita che gli rimaneva, le vide contorcersi intorno all’arma, poi le nocche bianche strette a mostrare quell’ultima sicurezza imposta.
Gli occhi chiusi, il respiro via via più affannoso e chiedersi se tutto questo ha un senso, aver sofferto per poi rimanere con niente in mano e non trovare una risposta confortante nemmeno in punto di morte.
No, non doveva cedere, non era forse abbastanza umiliante quella sedia a rotelle che mal si addiceva al suo corpo esile, quella sedia che aveva condizionato tutta la sua vita, che si era appropriata della sua dignità imponendosi senza lasciargli scelta o forse lasciandogliene solo una, grandiosa e terribile.
Imperturbabile anche di fronte alla morte, questo il titolo sui giornali pronti a farsi beffe delle sofferenze umane, ne sarebbe uscito come un martire e tutti avrebbero perso di vista il lato umano, quella sofferenza che non lascia scampo.
Splendeva il sole quella mattina, la luce filtrava dalle finestre semichiuse, l’idea terribile rimbalzava sugli specchi e le pareti della camera, il ferro in bocca, le vene pulsanti; questa volta avrebbe scelto lui, il tempo s’era preso anche troppo, una scelta folle eppure coraggiosa, una parvenza di sicurezza e poi più niente.
Lo chiamavano il coraggio degli ultimi, quel coraggio che una mattina ti prende e, dettato solo dalla disperazione che cerca sbocco in un ideale più nobile, ti spinge a fare cose che altri non farebbero. Nessuno udì niente quella mattina, tutti impotenti contro le volontà più ferree, la vita lo aveva abbandonato ed il suo corpo s’era accasciato su se stesso inerme e fu così che lo trovarono ormai freddo.
Una fragilità ben mascherata che non ci è dato conoscere lo aveva smosso, gli aveva fatto perdere tutti i bei pensieri razionali lasciando spazio alla carne umana, e forse fu proprio per ciò che aveva dimostrato, il fatto che di fronte alla morte siamo tutti uguali e nudi, che ebbero paura e preferirono raccontare la storia d’un uomo forte anche all’ultimo, ma forse sono io che ho mal interpretato i tumulti del cielo.
Aibell

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